La storia degli oggetti piu comuni...

Aperto da Onlyford, 15 Maggio 2011, 23:01:24

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Onlyford

Stasera d'avanti ad un piatto di carne accompagnato da un buon vino,io e la mia futura consorte siamo incappati in una discussione interessante di come siano nati certi oggetti...e ne ho voluto pubblicare un post che spero di aggiornare continuamente e spero che sia interessante:


La penna a sfera

La penna attuale prende il nome dalla penna d'oca,

la quale, intinta in un calamaio contenente inchiostro costituiva uno dei primi mezzi raffinati di scrittura. Successivamente alla penna d'oca pura e semplice fu aggiunto un pennino metallico che garantiva una maggiore resistenza della punta ed una maggiore uniformità del tratto.


Poco costose, affidabili e senza necessità di manutenzione, le penne a sfera hanno in gran parte rimpiazzato le penne stilografiche.
La punta della penna a sfera è realizzata normalmente in ottone, in alpacca o in acciaio inossidabile. All'interno della punta vi è una cavità che contiene un inchiostro viscoso che viene distribuito sulla carta grazie al rotolamento di una piccola sfera metallica (del diametro compreso tra 0.38 e 1.6 millimetri) posta all'estremità della punta.

L'inchiostro si secca quasi immediatamente al contatto della carta, che deve essere preferibilmente un poco porosa.

I primi progetti della penna a sfera sembrano essere stati creati da Leonardo da Vinci. Era un semplice tubo d'ottone che si restringeva alla fine con delle scanalature che permettevano il passaggio dell'inchiostro alla sfera che chiudeva il tubicino d'ottone. La penna a sfera venne poi ideata dal giornalista ungherese László József Bíró nel 1938. Vedendo una palla che, uscita da una pozzanghera, lasciava una scia sulla terra, Bíró pensò che questo principio potesse valere anche con l'inchiostro.

La prima penna a sfera venne messa in vendita il 29 ottobre 1945 in un grande magazzino a New York al prezzo di 12,50$.

Sembra che il primo a chiamare comunemente la penna a sfera biro sia stato Italo Calvino, dal nome del suo inventore.

Nel tempo la penna a sfera subì evoluzioni ed adattamenti rispetto allo sviluppo tecnologico ed alle regioni di utilizzo.

Mentre in Cina ed in molti paesi asiatici vengono preferite le punte da 0,38 a 0,7 mm di diametro, che meglio si adattano alla scrittura a ideogrammi, nei paesi occidentali, al contrario, è di gran lunga più utilizzata la misura da 1 mm.

Recentemente grazie allo sviluppo di nuovi inchiostri alcuni produttori hanno introdotto misure di sfera maggiorate fino a 1,6 mm che costituisce attualmente il limite massimo reperibile in commercio. I motivi che impediscono per il momento l'utilizzo di sfere di maggiore diametro sono principalmente due:

il rischio di fuoriuscita accidentale di inchiostro dalla punta
la difficoltà che la punta avrebbe nello scrivere immediatamente dopo l'appoggio sul foglio (proprietà tecnicamente detta starting).

Onlyford

#1
Carta igienica

Le prime tracce dell'utilizzo della carta igienica risalgono al XIV secolo in Cina ad utilizzo della famiglia imperiale
Prima della carta igienica, i cinesi utilizzavano delle asticelle in legno



La carta igienica ha compiuto ben 154 anni. Correva l'anno 1857 e il newyorkese Joseph Gayetty ebbe l'idea d'inventare la prima carta igienica dopo aver utilizzato lui stesso ciuffi d'erba e foglie strappate dalle aiuole della cittadina americana. Con sottili fogli pressati e lubrificati con aloe in funzione anti-emorroidi fece il prototipo della carta igienica.
Negli Stati Uniti venne prodotta industrialmente la prima carta per uso esclusivamente igienico da Joseph Gayetty, il cui nome era stampato su ogni singolo foglio. 50 centesimi di oggi per una confezione che conteneva più di 500 strappi, ma la sua brillante intuizione non diede frutti infatti, subito dopo fallì.
Alcuni anni dopo, nel 1879, la Scott Paper Company mise in commercio la prima carta igienica in rotoli seguiti poco dopo dai rotoli perforati.
Nel 1942 con la prima carta a doppio velo, St. Andrew's Paper Mill, la carta igienica in Inghilterra diventa più soffice e robusta.
In Italia la carta igienica fu considerata un lusso fino alla seconda metà del XX secolo, quando divenne un prodotto di uso popolare.
Oggi il formato più diffuso è il rotolo bianco a doppio velo goffrato, ma sono disponibili sul mercato rotoli colorati o decorati, profumati o a più veli (fino a cinque). Sono disponibili anche rotoli caratterizzati da decorazioni come fumetti, barzellette e volti di personaggi politici.



Le misure standard del taglio sono 97 mm di altezza e 126 mm di larghezza.
La composizione della carta igienica differisce dalle altre carte (ad esempio i fazzoletti di carta) perché è in grado di disfarsi con l'acqua e di decomporsi più rapidamente nelle fosse biologiche.
Il mercato della carta igienica in Europa vale 8,5 miliardi di euro e rappresenta il 26% del consumo mondiale. Ogni europeo ne consuma in media 13 kg ogni anno, per un consumo totale nell'intera Europa pari a 5,5 milioni di tonnellate o 22 miliardi di rotoli complessivi. Questa produzione richiede perciò complessivamente il consumo di circa 42~52 milioni di tonnellate di legname per anno, corrispondenti a circa 400-500 milioni di alberi di medie dimensioni abbattuti ogni anno per questo consumo.

Able007

la mia carta igenica preferita è nero azzura!!!!!!!!!!

uhauhauahuahauhuahauh  ;D  ;D  ;D

Able007


Onlyford

hahahaahahhaahahhahahahaha
mi aspettavo delle battute dopo questo post!infatti sono arrivate!

el gigi

Citazione di: Abega il 16 Maggio 2011, 19:27:54
certo che, detto da zeru titoli fa effetto!
;D  ;D  ;D  ;D

beccati questa, Filì!
a te ed ai bianconeri...  ;D ;D ;D ;D ;D


Grande Abega  :D ;D ;D ;D ;D ;D ;D

Claudio M

Bravo Onlyfocus, questi sono i post bellissimi alla Aliseo, ne ho fatti a decine e decine e con migliai di visite, continuamo cosi, bravo.

Fordista dal 1985.

Onlyford


Claudio M

E allora anche io voglio dare il mio contributo con una stranezza storica.

Questa notizia l'ho sentita stamane in tivvu'

Conosce il bellissimo genere musicale di Giuliano Palma? Questo genere si chiama "SKA" e se pensate come pensavo io che, fosse un genere relativamente recente ... ebbene NO.

Ecco la sua storia:

La Giamaica voi ben sapete che e' la patria del reggae, ebbene nei primi anno sessanta, in quel paese povero, tanto povero da non poter comprare i dischi la gente ascoltava la radio e ballava, ma la musica ascoltata non era il reggae, bensi lo ska, ma nel 1966 ci fu un'estate talmente calda che i programmi musicali (allora rigorosamente in diretta) erano troppo faticosi, si sudava troppo, anche per che se ci fate caso lo ska ha un ritmo molto incalzante, per cui si decise di rallentarlo ... ebbene quella fu la nascita del reggae.

Se ci fate caso il reggae  e lo ska hanno lo stesso identico ritmo, solo che quest'ultimo ha un andamento molto piu' veloce.

Cosi' ... tanto per dire!

Fordista dal 1985.

Claudio M


Fordista dal 1985.

Onlyford

Quello si,ma la prima macchina era un fiestino :-)
Mi fa piacere che hai postato anche te!
Lo considero un'onore

Onlyford

Accendino

Oggi gli accendini sono un'oggetto di uso così comune, il primo produttore la BIC dice di produrne 1.5 miliardi ogni anno, che ci dimentichiamo che sono una invenzione straordinaria. In qualsiasi posto, in qualsiasi momento premi un bottone o sfreghi una rotella e ecco il fuoco !

L'accendino fu inventato nel 1816, fu battezzato Lampada di Dobereiner ( chimico tedesco Johann Wolfgang Dobereiner ), ma l'accendino di Dobereiner non usava butano o benzina come combustibili ma l'Idrogeno che é molto esplosivo. Quindi non é l'oggetto che é stato inventato da D. ma il fatto che del combustibile venisse incendiato al tocco di un dito. Un altra differenza é nel meccanismo di accensione questo accendino che non é la pietra focaia o la scintilla pizoelettrica ma il costosissimo platino.

Un altra differenza é nelle dimensioni, la Lampada di D. era una sorta di accendino da tavolo, che però era diventato uno status symbol nell'alta società, i fumatori normali usavano i più economici fiammiferi - inventati poco dopo [ wiki Fiammiferi ] fino a che non fu perfezionato l'accendino a pietra focaia, già nel 1908 venivano prodotti accendini che potevano stare in tasca, la pietra focaia divenne una produzione di massa. Naturalmene l'uso del platino divenne obsoleto, era molto più semplice accendere con la pietra focaia uno stoppino che assorbiva il combustibile da un piccolo serbatoio.

Lo sviluppo dell'accendino continuò nella prima guerra mondiale perché i soldati usavano i fiammiferi per farsi luce o accendere sigarette ma l'iniziale vampata dei fiammiferi era molto visibile e a molti é costata la vita. Da qui la necessità di accendere ma senza la vampata iniziale, gli inventori continuarono a lavorare e alla fine della guerra nel 1918 l'accendino era molto più evoluto.

Poi gli anni '20 - periodo dell'Art Deco - l'abitudine a fumare si diffuse rapidamente e l'accendino divenne un oggetto alla moda. Gli accendini a pietra focaia si diffusero rapidamente.
Gli accendini restavano comunque un lusso, negli anni '30 George G. Blaisdell cominciando da un vecchi accendino austriaco, prima miglioro l'ergonomia dell'oggetto così che fosse comodo da tenere in mano, poi disegnò un riparo perforato per la fiamma che rese la fiamma resistente al vento! Infine modificò il serbatoio combustibile e aggiunse un cardine così da avere l'apertura flip-top = piega-tappo e ecco lo Zippo.



Dopo la nascita della Zippo cominciarono a nascere altre aziende e la concorrenza fece scendere il prezzi e gli accendini arrivarono alla portata di tutti e poco dopo diventano anche oggetto da collezione. Ronson inventa per primo un accendino automatico alla fine degli anni '20 ma non trova popolarità fino alla diffusione degli Zippo, Duhill diventà più aggressiva nella produzione St Dupont aggiunge gli accendini alla loro line di prodotti e Colibri comincia a produrre i primi accendini automatici.

Si diceva che per le donne fumatrici il "click" di chiusura dello Zippo risultasse irresistibile, questo é un aspetto romantico dell'accendino che lo rendeva la novità del momento.

Il combustibile usato a quel tempo era una benzina oleosa derivata dal petrolio, funzionamento é quello dello Zippo, uno stoppino veniva acceso da un ruota di pietra focaia che faceva scintille su una punta di acciaio quando veniva fatta girare con un un dito. Negli anni '30 e '40 arrivarono delle grandi innovazioni, non é chiaro a chi attribuirle: Ronson cominciò a produrre accendini che usavano come combustibile il butano, che aveva questi vantaggi sulla benzina, la fiamma poteva essere regolata, non serviva più lo stoppino e l'odore era meno pungente.

Il metodo per accendere il gas degli accendini a butano era sembre basato sulla pietra focaia e adesso si cercava un sistema per andare oltre e fare a meno della sostituzione delle pietrine. Nei venti anni precedenti si diffondeva un'altra nuova tecnologia quella pizoelletrica e Ronson di nuovo fu il primo a accendere i suoi accendini a gas con una scintilla pizoelettrica cioè la scintilla viene prodotta esercitando una pressione su un cristallo di quarzo e questo genera la scintilla. Comunque ancora oggi troviamo i due sistemi di accensione e il Ronson - tra i fumatori - é ancora un oggetto di culto, dopo il fallimento dell'azienda nelgi anni '70 ecco ... i Ronson in plastica.

Ogni oggetto é diventato un accendino... ma dal 2008 gli accendini devono avere una sicura: o rotellina anti-bambino o se elettronici con bottone "indurito" cioé é necessaria una pressione di almeno 5Kg quindi per il momento tutte questi prodotti non arrivano più in Europa perché non nelle normative.

Tipi di Fiamma

Ai giorni nostri poi abbiamo accendini con diversi tipi di fiamme, a doppia fiamma o mista e il fumatore sofisticato sceglie appunto l'accendino adatto al tipo di pipa che usa, per le sigarette si sceglieranno degli accendini a fiamma naturale, per i sigari vanno sicuramente meglio accendini a torcia.

Torcia
- fiamma sottile a ago Questi sono gli accendini con la fiamma più calda, fino a 2500°C, il gas é miscelato all'aria dopo l'ugello ma prima di accendersi e ecco l'effetto fiamma ossidrica, anche se piegati la fiamma rimane come un ago sottile e segue la direzione dell'ugello quindi sono particolarmente indicati per sigari, pipe. E anche per ravvivare le carbonelle del Narghilé.

Resistenti al vento - fiamma larga a forma di cono. La fiamma é più ampia di quella degli accendini a torcia quindi accendono i sigari in qualche secondo e le sigarette in meno di un secondo. La fiamma é fatta per andare verso l'alto e é meglio tenerli sempre in verticale, come gli accendini a torcia questi possono essere usati in qualsiasi condizione del tempo, vicino all'ugello c'è una serpentina che diventa incandescente e é in grado di riaccendere il gas se soffiate o c'è vento.

Fiamma Verde Come gli accendini a torcia o resistenti al vento, all'inizio il colore della fiamma é azzurro poi diventa color verde brillante, perché c'è un catalizzatore sulla spirale che fa cambiare il colore della fiamma.

Fiamma Naturale Sono tutti gli accendini tradizionali dove il gas non si miscela con aria prima della combustione - é quello che genera l'effetto fiamma ossidrica e fa salire la temperatura. Sono adatti alle sigarette, accendere candele

Doppia Torcia Accendini a due fiamme che raggiungono le temperature più elevate, accendono tutto in brevissimo tempo usati principalmente per i sigari grandi, con le pipe bisogna stare attenti a non bruciarle

Doppia Fiamma: wind-proof e naturale Per l'uso dove per l'accensione é preferibile la fiamma naturale quindi accendere qualsiasi miscela di tabacchi, erba ma date le condizioni se la fiamma si spegne viene immediatamente riaccesa dalla fiammella wind-proof.

Principali aziende produttrici di accendini

BIC- primo produttore mondiale - 5 milioni di Accendini Bic venduti ogni giorno. Dopo aver conquistato il primo posto come maggior produttore mondiale di penne a sfera, marcel Bich si rivolse alla produzione di accendini ... nel 1971 acquisisce il controllo di una fabbrica di accendini francese FLAMINAIRE e nel 1973 lancia il primo accendino Bic con fiamma regolabile. Data l'elevata qualità, affiabilità e forma accattivante l'accendino Bic fu subito un successo. Poi nell'85 arrivò il Bic Mini e negli anni '90 il resto dei modelli.

Gli accendini BIC sono disponibili in 3 misure (maxi, slim and mini), con i 2 sistemi di accensione descritti prima (classic/standard e electronico), non sono ricaricabili. ... Come é fatto un Bic

Quante Fiamme ti da un Bic prima di esaurirsi? Fino a 3000.

Clipper / Smoking Circa mezzo secolo fa, la famiglia Puig fondò Flamagas, l'azienda a differenza della Bic é specializzata nella produzione di accendini ricaricabili e non, suoi sono i marchi Clipper [ Ricaricabile ], Brio [ non ricaricabile ] e Stylo, anche gli accendini Smoking sono Flamagas - modello Brio - la produzione giornaliera é di 500.000 pezzi.

Il Clipper con i suoi bellissimi disegni e mille colori [ Vedi ] é l'accendino più bello e pratico, da ricordare la funzione "tilt" dei nuovi Clipper, la fiamma é sempre naturale ma se inclinato aumena l'erogazione del gas, in questo modo l'accensione degli strumenti é facilitata e non c'é rischio di scottarsi le dita. L'azienda é vicino a Barcellona con stabilimenti in India e Cina.

Il disegno orignale del Clipper é di Bryant And May una ditta inglese di fiammiferi fondata nel secolo scorso

La Zippo Manufacturing Company venne fondata nel 1932 da George B. Blaisdell, a Bradford, in Pennsylvania, USA. Il suo celebre accendino Zippo deve il suo nome ad un altro prodotto dell'epoca che stava riscuotendo grande successo, cioè la cerniera lampo (zip).

La caratteristica principale dello Zippo è quella di aver mantenuto, dal 1932 ad oggi, una linea quasi identica; è proprio la sua forma a renderlo caratteristico e celebre. Lo Zippo è famoso per la sua praticità, e per il fatto che produce sempre la fiamma, anche quando tira vento. Altra caratteristica tipica dello Zippo è il fatto che, di ogni zippo, è possibile sapere almeno l'anno di costruzione (per gli accendini costruiti dal 1987 compreso in poi anche il mese) grazie ad un particolare codice inciso su ogni pezzo.

nel 1997 arriva lo Zippo Blu, uguale nella forma ma a gas e non più a benzina.

Claudio M

Forse per la tua giovane eta', non ricorderai che una volta era usuale acquistare le sigarette e un pacco di cerini, e accendersi la sigarette con tutto un rituale, sfregando prima il cerino afferrato con pollice e indice, la fiamma all'nterno del palmo della mano o di due mani se all'aperto con vento, era tutta un'altra storia.
Gli accendini erano una modernita' esotica, .... ma era la prima meta' degli anni sessanta.

Fordista dal 1985.

Onlyford

beh i cerini li conosco tranquillo!anche usati!!!
io negli anni 60 non ero nemmeno in cantiere :-)
e mi ricordo pure il modo corretto per accenderli in modo da coprirli con la mano...
anche se son giovane,son ormai 9 anni che fumo....

27 Rosso

Citazione di: Aliseo il 16 Maggio 2011, 22:15:18
Forse per la tua giovane eta', non ricorderai che una volta era usuale acquistare le sigarette e un pacco di cerini, e accendersi la sigarette con tutto un rituale, sfregando prima il cerino afferrato con pollice e indice, la fiamma all'nterno del palmo della mano o di due mani se all'aperto con vento, era tutta un'altra storia.
Gli accendini erano una modernita' esotica, .... ma era la prima meta' degli anni sessanta.

Io si che me lo ricordo.... ed ho sempre odiato quel puzzo inconfondibile che emanva il cerino!

Claudio M

Citazione di: 27 Rosso il 16 Maggio 2011, 22:21:32
Citazione di: Aliseo il 16 Maggio 2011, 22:15:18
Forse per la tua giovane eta', non ricorderai che una volta era usuale acquistare le sigarette e un pacco di cerini, e accendersi la sigarette con tutto un rituale, sfregando prima il cerino afferrato con pollice e indice, la fiamma all'nterno del palmo della mano o di due mani se all'aperto con vento, era tutta un'altra storia.
Gli accendini erano una modernita' esotica, .... ma era la prima meta' degli anni sessanta.

Io si che me lo ricordo.... ed ho sempre odiato quel puzzo inconfondibile che emanva il cerino!

Guarda per me era favoloso, e quando fumava il mio babbo, io mi divertivo a tirare fuori la cera dai cerini utilizzati

Fordista dal 1985.

Onlyford

hahahhahahahaha questa non la sapevo

Claudio M

La storia vera della sfiga era che accendendo il primo la sigaretta il cecchino puntava, il secondo che accendeva, il cecchino mirava, mentre al terzo sfigato il cecchino sparava .... tacci sua!

Pero' una cosa e' certo, il terzo che accendeva la sigaretta, non moriva mai di cancro.

Fordista dal 1985.

27 Rosso

Citazione di: Onlyford il 16 Maggio 2011, 22:27:46
hahahhahahahaha questa non la sapevo


Nemmeno io sapevo il perchè, però ricordo sempre che un mio fraterno amico,alla terza sigaretta lo buttava via, e ne accendeva un altro.

macteo

ma come si fa ad accendere 3 sigarette con un cerino? si consuma prima... no?
[2014->>>] KUGA II 2.0 TDCI AWD (163cv powershift) TITANIUM

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Claudio M

Citazione di: macteo il 16 Maggio 2011, 22:52:42
ma come si fa ad accendere 3 sigarette con un cerino? si consuma prima... no?

E qui' che trapela il ragazzuolo.

Col cerino accendi pure 10 sigarette se lo sai fare.

Fordista dal 1985.

macteo

Citazione di: Aliseo il 16 Maggio 2011, 22:57:51
Citazione di: macteo il 16 Maggio 2011, 22:52:42
ma come si fa ad accendere 3 sigarette con un cerino? si consuma prima... no?

E qui' che trapela il ragazzuolo.

Col cerino accendi pure 10 sigarette se lo sai fare.

in effetti con il cerino non riesco ad accendere nemmeno una candela (finisce sempre che mi scotto)... ma a mia discolpa c'è da dire che in 30 anni non ho mai fumato una sola sigaretta ;)
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Onlyford


macteo

si ma così non ho imparato ad accendere i cerini :P
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Onlyford

ma ti sei risparmiato di spendere 3.90 al gg senza parlare della salute....
cmq puoi sempre iniziare adesso ;-)

Fyesta

Wow, in questo post si imparano un sacco di cose; forte! Sono anch'io un fumatore, ma dei vari tipi di accendino, nonostante faccia la collezione  sinceramente non ne sapevo nulla... addirittura i tipi di fiamma... davvero interessante. Diciamo che, sotto questo punto di vista non sono un vero collezionista, ma a tempo di ripiego (raramente li ho comprati).

Il video di Benigni è una forza, fantastico!  :D

Sono acerbo per l'epoca dei cerini, chiamati anche minerva, ma quando ero piccolo devo dire che mi affascinava molto vedere chi si accendeva una siga con i cerini; era un rito, e secondo me anche di classe; l'accendino rispecchia un pò il moderno, pratico, maneggevole... ma freddo.  ;)

27 Rosso

Citazione di: Fyesta il 17 Maggio 2011, 11:43:53
Wow, in questo post si imparano un sacco di cose; forte! Sono anch'io un fumatore, ma dei vari tipi di accendino, nonostante faccia la collezione  sinceramente non ne sapevo nulla... addirittura i tipi di fiamma... davvero interessante. Diciamo che, sotto questo punto di vista non sono un vero collezionista, ma a tempo di ripiego (raramente li ho comprati).

Il video di Benigni è una forza, fantastico!  :D

Sono acerbo per l'epoca dei cerini, chiamati anche minerva, ma quando ero piccolo devo dire che mi affascinava molto vedere chi si accendeva una siga con i cerini; era un rito, e secondo me anche di classe; l'accendino rispecchia un pò il moderno, pratico, maneggevole... ma freddo.  ;)

Eh no Fyesta,  i cerini sono una cosa, e i minerva  un altra.

macteo

io mi ricordo quando andavo a comprare i minerva per avere la linguetta di carta vetrata su cui sfregare i raudi da sparare al parchetto :D
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27 Rosso


Storia dell'orologio da polso.

L'orologio da polso fu inventato alla fine del XIX secolo da Patek Philippe, ma inizialmente fu considerato un accessorio esclusivamente femminile. Tra gli uomini era comunemente usato l'orologio da tasca.

All'inizio del XX secolo l'inventore brasiliano Alberto Santos-Dumont, avendo difficoltà a leggere l'ora a bordo dell'aereo di sua fabbricazione, chiese al suo amico Louis Cartier un orologio più pratico. Cartier gli diede un orologio da polso con cinturino in cuoio di cui Dumont non fece più a meno. Quando Cartier divenne popolare a Parigi, iniziò così a vendere questi orologi anche alla clientela maschile.

Durante la prima guerra mondiale gli ufficiali di tutti gli eserciti scoprirono che in battaglia era più comodo dare uno sguardo al polso piuttosto che estrarre l'orologio dalla tasca. Bisogna ricordare che gli uomini schierati in prima linea, provenivano dalle classi sociali meno abbienti e non potevano permettersi orologi personali, indispensabili per sincronizzare l'artiglieria e la fanteria durante gli attacchi. Il rapido aumento delle perdite di soldati durante il combattimento portò i capi di stato maggiore a decidere di fornire a tutto l'esercito degli orologi da polso comodi, precisi, affidabili con caratteristiche che permettevano la lettura immediata dell'ora, munendoli di lancette più grandi e rendendo gli indici luminescenti per la visione notturna. Di fondamentale importanza fu la produzione su scala industriale di questi orologi, per distribuirli più velocemente e renderli più economici. Al termine della guerra gli orologi rimasero agli ufficiali europei ed americani, favorendo la diffusione di questo oggetto nelle culture occidentali. Ancora oggi gli appassionati del genere militare cercano pezzi particolari prodotti in quegli anni dai diversi marchi d'orologeria.

Il primo utilizzo dell'elettricità fornita da una batteria in un orologio da polso in sostituzione della molla fu nel modello Hamilton Electric 500, distribuito nel 1957 dalla Hamilton Watch Company, in Pennsylvania.

Il primo prototipo di orologio al quarzo da polso fu sviluppato nei laboratori svizzeri CEH nel 1962. Il primo modello in produzione commerciale fu il 35 SQ Astron della Seiko, nel 1969. Questi orologi erano ancora con quadrante analogico a lancette. In alcuni modelli oltre alla batteria sono impiegate come fonte di energia la luce solare o il movimento dello stesso orologio per mezzo di un generatore elettrico abbinato ad una massa oscillante (orologio automatico).

Con lo sviluppo dell'elettronica e la riduzione dei prezzi divennero popolari a partire dagli anni settanta gli orologi digitali, che mostrano cioè l'ora direttamente con cifre invece che per mezzo di lancette, una novità rivoluzionaria. Il primo orologio digitale fu il prototipo Pulsar, realizzato dalla collaborazione tra Hamilton Watch Company e Electro-Data nel 1970. La versione commerciale uscì nel 1972 ed aveva una serie di display a sette segmenti rossi, grandi consumatori di energia. Successivamente arrivarono i display LCD, con modelli a quattro cifre ed il modello a sei cifre Seiko 06LC, nel 1973.

Con l'avvento del microprocessore gli orologi da polso possono includere funzioni varie tra cui cronografo, calcolatrice, videogioco, fotocamera, Pendrive, telefono cellulare ecc.

Negli anni ottanta la Seiko mise in commercio un orologio con incluso un monitor televisivo. Poiché però l'elettronica per la ricezione radio e le batterie dell'epoca erano troppo ingombranti, furono alloggiati in una scatola esterna da portare in tasca. Nel 2000 fu messo sul mercato un orologio con TV completamente integrata ed autonomia di un'ora.

Diverse aziende hanno provato a realizzare orologi da polso includenti un computer. L'IBM ne ha realizzato un modello in grado di fare girare Linux.

Alcuni orologi sono in grado di sincronizzarsi con un segnale orario trasmesso via radio e derivato da orologi atomici, vedi orologio radiocontrollato.

Altro tipo di orologi da polso sono quelli ad affissione dicroica, ovvero quel tipo di orologico che ha sia le lancette (analogico) che un display con i numeri (digitale).

Nonostante l'economicità, precisione e affidabilità degli orologi digitali, attualmente gli orologi meccanici non sono completamente scomparsi. Anzi in alcuni casi sono divenuti status symbol.

La rinascita dell'orologeria svizzera

Negli anni settanta del XX secolo l'industria orologiaia svizzera versava in condizione di grave crisi, in parte a causa del superamento degli orologi meccanici da parte dei digitali, in parte per la crisi economica successiva alla choc petrolifero che ridusse notevolmente la richiesta di beni di lusso.

Agli inizi degli anni ottanta, Nicolas Hayek, imprenditore svizzero nel ramo dell'elettronica, riesce a guidare la fusione tra le preesistenti ASUAG (Allgemeine Schweizerische Uhren AG) e SSIH (Société Suisse pour l'Industrie Horlogère SA), le due più importanti holding di produzione orologiaia, nella nuova società SMH (Société Suisse de Microélectronique et d'Horlogerie SA), con il preciso scopo di produrre un nuovo tipo di orologio, dai costi popolari e dal design accattivante. Il risultato fu presentato il 1º marzo 1983 con il nome Swatch, contrazione di "swiss watch" (orologio svizzero). Il prezzo andava dai 39,90 ai 49,90 Franchi svizzeri.

Il risultato fu raggiunto riducendo notevolmente il numero di componenti di un orologio ed il tempo di fabbricazione, abbattendo così i prezzi. Inoltre, grazie ai suoi artisti, era in grado di produrre una nuova collezione ogni anno, trasformando l'orologio da polso da un oggetto "per sempre" a un elemento di moda da cambiare di frequente. Questi orologi furono oggetti ambìti di collezionismo e divennero status symbol tra i giovani. Quanto accaduto è ancora oggi oggetto di studio nelle scuole di design per dimostrare il potenziale commerciale del design industriale.

Negli anni successivi, la SMH, che ha acquisito definitivamente il nome The Swatch Group nel 1998, porta avanti una serie di acquisizioni di marchi storici dell'orologeria svizzera (Omega/Tissot, Longines e Rado negli anni '80 e Breguet negli anni '90) imponendosi così come principale produttore di orologi mondiale.

Orologi da polso e celebrità

La coronazione e l'indiscusso successo degli orologi da polso avviene negli anni '60 quando anche le star del cinema cominciano ad indossare nei film i loro segna tempo, artisti del calibro di Sean Connery nella indimenticabile serie di film agente 007, Steve McQueen ne Il Cacciatore di taglie oppure Paul Newman in Indianapolis, pista infernale. L'industria svizzera capisce che i tempi erano maturi e comincia una produzione e una distribuzione capillare in tutto il modo, di alcuni modelli, che la gente voleva a tutti i costi possedere per eguagliare i propri miti. Anche la politica e l'industria fecero la loro parte, uomini carismatici come il presidente degli USA John Kennedy e Ernesto Che Guevara, rivoluzionario e combattente per la liberazione di Cuba, vengono immortalati in scene di vita quotidiana dove l'utilizzo dell'orologio da polso era diventato indispensabile oggetto di utilità e glamour. Così alla fine di questi anni, esattamente il 20 luglio del 1969, l'orologio fu utilizzato anche per la spedizione sulla luna dove gli astronauti della NASA riscontrarono ben presto l'utilità di questo strumento.

Onlyford

La scarpa

Le origini della scarpa risalgono alla preistoria, quando l'uomo primitivo sentì la necessità di proteggere le proprie estremità inferiori. Inizialmente utilizzò una corteccia, delle foglie intrecciate o la pelle di un animale avvolta attorno al piede e trattenuta da rudimentali lacci alla gamba, poi con gli egiziani la calzatura si estese ad esigenze di praticità e di estetica. Nata per difendere il piede e contemporaneamente lasciarlo traspirare la calzatura egiziana fu sandalo, la cui forma essenziale è rimasta pressochè inalterata nel tempo. I primi materiali utilizzati furono fibre vegetali fresche e leggere, poi gli egiziani passarono alla pelle; abili conciatori reallizzarono sandali di pelle colorata, spesso ricamata e decorata con lamine d'oro.

    I Sumeri, sottoposti a clima piovoso, tre milleni prima di Cristo adottarono le prime scarpe chiuse, poi elaborate e sviluppate da Assiri, Babilonesi, Persiani e che sono giunte sino a noi senza grosse variazioni nelle loro caratteristiche fondamentali; basse, con tomaia che non supera il malleolo o veri e propri stivali che arrivano alla coscia.

    Gli artigiani Assiri erano maestri nell'arte conciaria e confezionavano ricchissime calzature di pelle morbidissima per i dignitari. Ma il simbolo del rango era dato dal colore della pelle tenue e delicato per i nobili rosso e giallo per la classe media.

    I Persiani preferivano il colore azzurro e giallo con forme slanciate, mentre per dare maggiore slancio alla figura in posizione eretta, scoprirono il trucco di inserire nel calzare, in corrispondenza del tallone, strati di sughero cuneiformi.

    In Grecia la calzatura assunse tutte le forme base che poi sono giunte fino ai giorni nostri; benchè fossero in pochi e per poche ore al giorno i fortunati che potevano usare le calzature i Greci curavano il benessere dei piedi con particolare attenzione e produssero una notevole varietà di modelli adatti a tutte le esigenze. I modelli principali erano il sandalo, in legno o sughero, la crepida, con suola alta e tomaia aperta, l'embas, stivaletto a mezza gamba allacciato, l'embates, stivale di cuoio o stoffa per i cavalieri, l'endromis, stivaletto per la caccia ed il viaggio, ed il coturno, calzatura chiusa a suola molto alta. E' possibile ricostruire la presenza della calzatura anche dalla mitologia, dove viene largamente citata, come anche dalle storie popolari e da alcune superstizioni tramandate fino a noi. Il Dio greco Mercurio calzava sandali alati, famoso e apprezzato da grandi e piccini il furbo Gatto con gli stivali, la ever green favola di Cenerentola la cui scarpetta di cristallo ha fatto sognare tutti noi oppure, per i più superstiziosi, la tradizione di appendere un modellino di stivale nel retro della macchina dei giovani sposi come augurio e portafortuna.

    Grandi maestri "calzolai" furono senza dubbio i Romani, i cui sandali sono tuttora oggetto di ispirazione da parte di stilisti della moda e degli accessori. Tra i numerosi modelli ricordiamo il sandalo "caligae", robusto e resistente all'uso particolarmente adatto nelle battaglie e operazioni militari. Di forma piatta, era costituito da tre o quattro strati di pelli bovine rigide e conciate al vegetale, sagomate a forma di piede, ed era allacciato intorno al piede e alla caviglia. Dopo la caduta dell'Impero Romano, nessun esercito utilizzò questa calzatura così robusta e durevole, e per oltre mille anni i soldati generalmente calzavano scarpe civili.

    Verso l'undicesimo secolo iniziò la moda degli stivaletti di cuoio per uso generale, che coprivano il piede superando di poco l'altezza della caviglia. Gli stivali, di lunghezza variabile, proprio in quel periodo fecero la loro prima apparizione ma la grande diffusione avvenne nel sedicesimo secolo. Erano del tutto privi di tacco.

    Gli stivali lunghi veri e propri, portati da supporto e protezione della gamba e caviglia, trionfarono intorno alla metà del Settecento, quando i comandanti di truppe incominciarono a preoccuparsi delle condizioni di salute dei piedi dei loro soldati. Ha inizio l'era della calzatura militare moderna. Le calzature non sono sempre state impiegate a scopo puramente funzionale ma spesso hanno seguito i suggerimenti della moda arrivando a curiosi modelli talvolta pericolosi per la deambulazione e per la salute del piede. Le calzature appuntite e, ridicole per noi, utilizzate nel periodo medievale rendevano impossibili i movimenti a causa delle punte sempre più lunghe e assottigliate. La calzatura piatta a becco d'anatra, del XVI e del XVII secolo, era talmente larga e piatta da rendere immobile chi la calzava. Un vizio che costava caro soprattutto alle donne in stato di gravidanza (numerosi i casi di aborto per caduta) o le dame di corte con frequenti e dolorose rotture di caviglie

    Mode smodate direbbero i più severi, non limitate ai secoli passati. Basta pensare ai nostri ruggenti anni Settanta quando la moda dettava improbabili impalcature che elevavano la figura dal suolo di diversi centimetri grazie a suole costituite da spessi strati conici. I tacchi quando nascono ?

Tacchi

    Prima del 1600 non esisteva alcun tipo di vero tacco in uso: verso la fine del 1500 vennero prodotti alcuni piccoli tacchi di legno o di sughero mentre prima di questo periodo gli spezzoni di sughero, a forma di piani inclinati, o di fogli di cuoio, erano stati provati come tacco, però ebbero un successo molto limitato poiché creavano grandi difficoltà di movimento.

    All'apparizione del primo vero tacco coincise la scomparsa di tutte le altre forme di pseudo tacco. La tecnica del tacco infatti si è sviluppata continuamete fino a raggiungere ottimi rapporti altezza equilibrio che caratterizzano la maggior parte delle calzature da donna, particolarmente di moda, dei tempi attuali. La tecnica di costruzione dei tacchi ha portato a realizzare tecniche di fissaggio alla suola, utilizzando chiodature in legno o metallo su suole divenute necessariamente più robuste indispensabili per sopportare l'azione del piede elevato dai tacchi. Questa tecnica però determinò problemi in relazione all'appaiamento delle calzature poiché, mentre le calzature prodotte prima del XVII secolo distinguevano la destra dalla sinistra già dai tempi dei Romani, dagli inizi del XVIII secolo fino al 1820 circa si tendeva a produrre scarpe lineari intercambiabili, da essere portate indistintamente sul piede destro o sinistro. E le forme come venivano realizzate? Per secoli le scarpe vennero realizzate du due tipi di forme fondamentali: prima in metallo e successivamente in legno. La prima forma metallica era all'incirca come il piede umano, forse di origine romana, ed era usata a titolo d'incudine per fissare i grossi chiodi nel cuoio. La seconda forma era costruita in legno e determinava la precisa dimensione e modello della tomaia che poi serviva per realizzare la completezza della cucitura della calzatura nel montaggio. Nessuna forma, invece, veniva usata per la realizzazione delle calzature fascianti morbide che erano in voga dai primi del medioevo fino al XVI secolo. L'accessorio forma-modello divenne però essenziale per tenere assieme e permettere di formare la scarpa con guardolo, durante la cucitura, dal XIV secolo in poi. Fino agli inizi del secolo non esistevano grandi differenze, nello stile e nella tipologia, tra le calzature da uomo e da donna: quest'ultima poi cominciò gradualmente a divenire oggetto di studi attenti e realizzata con maggiore cura stilistica.

    Le forme lineari non modellate, essendo di più facile realizzazione, rimasero di uso generale fino agli anni Venti, quando nuovi sistemi di fresatura risolsero numerosi problemi di realizzazione pratica delle forme.

Alcune calzature da donna lineari tuttavia hanno continuato ad essere prodotte in forma lineare fino al 1850 circa, sostanzialmente con due sole misure di larghezza: quella assottigliata, realizzata usando la forma tale e quale, e quella larga realizzata sovrapponendo una tomaia preformata intorno alla forma rimuovendola solo alla fine dell'assemblamento della calzatura. Dunque la scarpa e la sua importanza è stata a lungo ignorata al punto che bisognerà aspettare il XIX secolo per vedere un fabbricante di Filadelfia vendere delle paia di scarpe dove i due piedi sono distinti l'uno dall'altro. Gli anni Cinquanta e ancor più gli anni Sessanta rappresentavano un ventennio particolrmente importante per il trionfo della calzatura che diventa un vero e proprio gioiello. Sinonimo del lusso, del boom economico tipico del dopoguerra, specchio del cambiamento dei consumi la calzatura è sinonimo di moda, fashion, effimero, e l'Italia si fa avanti. Tutti vogliono le scarpe italiane, dive e divi di Hollywood faranno follie nelle loro richieste. Basta andare a visitare a Firenze il Museo della calzatura Salvatore Ferragamo per ammirare celebri scarpe, dal mondo aristocratico a quello dello spettacolo, tra le quali quelle della mitica Marilyn Monroe. Inaugurato nel 1995 il Museo fiorentino, ubicato al secondo piano di Palazzo Spini Feroni di via Tornabuoni, espone in cinque sale una selezione rappresentativa delle oltre 10.000 scarpe che costituiscono l'intera colezione, lasciata in eredità da Salvatore Ferragamo e continuata dalla moglie e dai figli. Adiacenti alle sale espositive troviamo il deposito dei modelli, la biblioteca, l'archivio e la libreria. Il Museo è nato per iniziative della famiglia Ferragamo, allo scopo di fare conoscere al pubblico di tutto il mondo, agli studiosi e soppratutto ai giovani le qualità artistiche di Ferragamo e il ruolo importante che ha ricoperto nella storia della calzatura e della moda internazionale. Nel 1985 nacque l'idea di organizzare a Palazzo Strozzi una mostra retrospettiva delle scarpe di Salvatore Ferragamo. Dopo Firenze la mostra fu allestita al Victoria and Albert Museum di Londra, nel 1987, e auccessivamente al Los Angeles County Museum of Arts, nel 1992, riscuotendo ogni volta il consenso del pubblico. Da qui maturò la decisione di trasformare una mostra itinerante in un museo permanente, arricchito di una biblioteca specializzata nella storia dell'azienda Ferragamo e della calzatura. Anche S.Elipidio (Ascoli Piceno) vanta un Museo della calzatura a sottolineare l'importanza di questo "prodotto" nella regione Marche. Originale la scelta di esporre calzature di tutto il mondo, curiosa invece la sezione di scarpe di personaggi famosi.

Poi l'attenzione si sposta sugli antichi macchinari, sulle foto dei calzaturifici che hanno fatto la storia di questo territorio, sui documenti in cui compaiono i primi slogan delle imprese. A Vigevano, invece, possiamo visitare un museo della calzatura frutto della cospicua donazione della famiglia Bartolini, inaugurato nel 1972. La raccolta comprende circa 300 pezzi che offrono un'inedita storia della calzatura vista come elemento di costume, spaziando nei secoli e nelle diverse civiltà. La rassegna è divisa in tre sezioni: quella storica mostra scarpe fabbricate dal XV secolo sino ad oggi, comprese quelle appartenute a personaggi noti (pianella di Beatrice d'Este 1490 ca.), e scarpe militari. La sezione etnografica riunisce calzaure in uso presso i popoli della terra. Chiude la mostra la sezione delle curiosità. Prossimo Museo della calzatura, in via di apertura, quello di San Mauro Pascoli, il "paese dei calzolai".

Nella Torre di pascoliniana memoria attraverso un itinerario tra storia e attualità sarà testimoniato come un paese di ciabattini in pochi decenni è divenuto un polo calzaturiero di caratura mondiale. Oggi poche sono le persone che considerano la scarpa come un semplice strumento di protezione del piede, fondamentale organo vitale che necessita di grande attenzione, rispetto e cura. Rinunciare alla tentazione dell'acquisto di una calzatura è per molti un'impresa impossibile: esistono veri e propri appassionati della scarpa, una sorta di cultori dai profondi risvolti psicologici. "Dimmi che scarpa porti che ti dirò chi sei" potrebbe essere il nuovo motto dell'era del consumismo. Più numerose le donne ma appassionati anche gli uomini, frequente il collezionismo di scarpe, forse calzate una sola volta oppure mai intaccate. L'importante è averle, ammirarle, goderle, come accade al personaggio interpretato dalla brava Margherita Buy nell'ultimo divertente film diretto da Carlo Verdone "Ma che colpa abbiamo noi" che ironizza sui risvolti psicotici e maniacali di un gruppo di persone in psicoterapia. E' facile fare follie per l'acquisto di una scarpa o di uno stivale, la passione, d'altronde, come per gli intenditori di vino o arte non pone limiti. Non sarà dunque un caso se gli italiani, più di altre nazionionalità, quando conoscono qualcuno prima gettano lo sguardo in basso per poi risalire in alto.

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La caffettiera

             La prima caffettiera che si conosce è la jabena, originaria dell'Etiopia, mente dobbiamo andare in Turchia per trovare l'ibrik, il quale aveva ed ha tutt'oggi la duplice funzione di preparare e servire il caffè. E' un bollitore dalla base larga e il collo molto più stretto che non ha mai incontrato la simpatia dell'Europa occidentale. Il bollitore di Bagdad ha invece influenzato gli stili delle caffettiere europee: la brocca in metallo, a becco, con il coperchio e il manico ricurvo... il beccuccio ricurvo lo troviamo nelle prime caffettiere inglesi nelle coffee houses.

Il metodo più efficace per fare il caffè rimase, dal XIV al XVIII secolo, quello di far bollire i fondi. Successivamente però il problema di separare i fondi dalla bevanda, scatenò l'ingegno di vari costruttori di macchine da caffè e caffettiere in tutta Europa. In Francia si studiò un metodo ad infusione, si metteva la polvere di caffè in un sacchetto di tela ed immerso nella caffettiera legato ad un piccolo cordone. Questi contenitori preso il nome di samovar . Erano sollevati da terra da tre piedini per lasciare spazio ad un piccolo fornello. I samovar  erano in ottone, peltro o rame ed erano molto in uso nei locali pubblici e in famiglie benestanti. Le caffettiere in argento erano semplicemente dei recipienti dove il caffè veniva fatto attraverso infusione e, ovviamente, erano in possesso dei più abbienti. In seguito, con la diffusione della maiolica si sostituirono i vecchi recipienti in metallo e vetro con altri bianchi o decorati che risultarono più piacevoli e meno costosi Più tardi nacque la" caffettiera a filtro", era di forma semplice ed era divisa in due parti, fu a questo punto che comparì il filtro centrale.

Fu il parigino Morize, nel 1819, a sviluppare una versione rovesciabile di caffettiera. Queste divennero molto comuni anche in Italia e grande successo e popolarità riscosse la "napoletana" di latta o stagno, molto povera nella rifinitura ma di grande efficacia per lo scopo. Queste ultime divennero quindi il modo più popolare e classico di preparare il caffè. Ma i grandi contenitori delle caffetterie non bastarono più per il gran numero di clienti e con l'avvento dell'elettricità, nacquero nuove macchine.... le macchine per il caffè "espresso".

L'Italia ebbe un ruolo principale nella costruzione di queste macchine grazie all'ingegno di uomini come Desiderio Pavoni e Luigi Bezzeca, che ben presto e fino ai giorni nostri, vennero costruite anche per l'uso domestico. Tra tutte le macchine da caffè "da fuoco" il riconoscimento più prestigioso va sicuramente alla "moka",apparecchio inventato e messo in commercio prima della seconda guerra mondiale da Alfonso Bialetti.

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#34
Visto che si parla di caffè, perchè non parlare di un suo compagno di giornata?

IL QUOTIDIANO

Un quotidiano è una pubblicazione periodica informativa che esce almeno con cinque numeri alla settimana. Insieme alla televisione e alla radio costituisce uno dei maggiori strumenti informativi.
I quotidiani sono tipicamente stampati su carta di bassa qualità, spesso in bianco e nero e in grande formato. La maggior parte dei quotidiani stampa tuttavia almeno una parte della pubblicazione a colori.
Il primo esempio di quotidiano, inteso come pubblicazione giornaliera contenente il resoconto degli avvenimenti politici e di attualità, risale al 59 a.C. quando a Roma Giulio Cesare istituì gli "Acta Diurna populi Romani" (o semplicemente Acta Diurna), una sorta di gazzetta ufficiale che veniva affissa nei luoghi pubblici.
Sotria
Il quotidiano, nella forma moderna, nasce nel '600 in Germania. Il primo quotidiano è la cosiddetta 'Einkommende Zeitung', fondata nel 1650 a Lipsia.
Il giornale, nella metà del '700, era letto da popolazione ricca, la quale era composta da nobili e borghesi. La classe dei borghesi era costituita da finanzieri, commercianti, industriali e intellettuali, come le persone che facevano parte della magistratura e degli impieghi pubblici. Il giornale era costituito da notizie di diverso settore come le notizie di cronaca, di economia, di politica interna e di quella estera, di cultura; col passare dei secoli si introdussero anche le notizie di sport.
Gli obbiettivi del giornale erano, essenzialmente, tre:
•        INFORMARE LA BORGHESIA
•        AIUTARLA AD INTERPRETARE LA REALTA'
•        AIUTARLA A CAPIRE I PROPRI INTERESSI SUL PIANO POLITICO
La borghesia, tra '800 e '900, divenne la classe dirigente della società europea, trionfò l'industrializzazione e ci fu un progressivo aumento dell'alfabetizzazione.
Il giornale si diffuse tra tutta la popolazione nel corso del 1900 con l'avvento della società di massa, ma andando avanti con gli anni, nuovi MEDIA lo affiancarono. Proviamo a fare una cronologia dello sviluppo dei media:
•   1900    sviluppo del GIORNALE QUOTIDIANO DI MASSA
•   1910    sviluppo del CINEMA
•   1920    sviluppo del TELEGRAFO e del TELEFONO
•   1930    sviluppo della RADIO
•   1960    sviluppo della TELEVISIONE
•   1990    sviluppo di INTERNET
Il giornale, oggi, serve per dare informazioni su fatti accaduti, ma soprattutto per approfondire le informazioni che gli altri media forniscono con analisi, commenti e indagini relative agli eventi trattati.

La diffusione di un quotidiano, così come quelle delle riviste a diversa periodicità, si misura attraverso la somma delle copie vendute, in edicola, su abbonamento o in blocco, e di quelle distribuite gratuitamente. Questo dato, rilevato da Ads, è più indicativo di quello relativo alla tiratura, che registra semplicemente le copie stampate e include, quindi, anche quelle non vendute (i cosiddetti resi).

I quotidiani in Italia hanno diffusione nazionale, alcuni hanno una diffusione solo a livello locale e trattano più approfonditamente argomenti inerenti un luogo circoscritto come province o regioni. Alcune testate diffuse nazionalmente pubblicano anche inserti dedicati alle edizioni locali.

Ci sono quotidiani editi da partiti politici, che usufruiscono di contributi da parte del Dipartimento editoria della Presidenza del Consiglio dei ministri

Alcuni quotidiani sono distribuiti gratuitamente, spesso chiamati free press ("stampa gratuita"), i cui costi sono coperti esclusivamente dagli introiti pubblicitari.
In meno di 10 anni, dal 1995 al 2005, questi quotidiani sono stati introdotti in quasi tutti i paesi europei, ed in altri paesi quali Stati Uniti d'America, Canada, Australia, in Sud America e Asia.
Al 2005 erano presenti quotidiani gratuiti in 36 nazioni; in due nazioni, Germania e Giappone, avevano cessato le pubblicazioni.
A livello mondiale (dati 2005) il leader del mercato, Metro, distribuisce quotidianamente 7 milioni di copie, gli altri editori 22 milioni di copie, per una lettura stimata quotidiana di almeno 45 milioni di persone.

Tutti i maggiori quotidiani dispongono di una rispettiva versione digitale, che frequentemente pubblica contenuti differenti rispetto a quelli cartacei, e che in alcuni casi dispone di una redazione giornalistica separata.

Da un'indagine ISTAT sui quotidiani online, in Italia nel 2003 erano disponibili 145 titoli online di cui 91 corrispondevano a quotidiani con versione a stampa e 54 erano quotidiani esclusivamente online. Di questi 145 titoli, 122 (84,1%) erano a carattere generalista, mentre 22 (15,2%) erano quotidiani specialistici (economia, sport, scienze, e altro).

Il primo giornale online sul web è stato L'Unione Sarda, nato in concomitanza col quotidiano Punto Informatico (pubblicato inizialmente tramite il sistema bbs), che sin dal luglio 1994 ha pubblicato regolarmente contenuti su Internet.

Come nasce una notizia
Dietro ogni notizia c'è il racconto di un avvenimento.
Perché  tra i tanti avvenimenti del giorno sono stati individuati proprio quelli ?
Si tratta di scelte editoriali(la freschezza della notizia ;l'originalità...
Per giustificare una notizia sono necessari :
1.   la conoscenza di un avvenimento
2.   l' interesse del pubblico...Senza pubblico, infatti non c'è notizia!
Succede che lo stesso avvenimento,pubblicato e dotato di analogo rilievo da due diversi quotidiani ,viene presentato con due notizie differenti.
Perché questo diverso modo di raccontare la notizia? Perché ogni quotidiano ha il suo pubblico .
Il compito del quotidiano non è quello di esprimere una verità;ma deve essere il più possibile obiettivo nel riferire fatti e opinioni.
Ulteriori notizie storiche e curiosità

I primi giornali quotidiano italiani a essere pubblicati sono stati la Gazzetta di Parma e la Gazzetta di Mantova.
- Il primo numero del Corriere della Sera è datato 5 marzo 1876; viene stampato in 15.000 copie ed è diretto da Eugenio Torelli Viollier.
- Il termine Gazzetta prende origine dalla moneta veneziana con la quale, nel Settecento, si comperava il giornale.
- Il nome del Resto del Carlino deriva dall'usanza di venderlo nelle tabaccherie come resto di due centesimi a quanti, con una moneta da 10 centesimi (un carlino), comperavano un sigaro.
- Il nome Corriere utilizzato da molte testate deriva dal fatto che nel 700 i giornali ricevevano le notizie per corriere, in diligenza con la posta.
- Il quotidiano attualmente più diffuso risulta essere il giapponese Yomiuri Shimbun, con oltre nove milioni di copie al giorno.

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